Dieci giorni senza presidente al Consiglio Nazionale delle Ricerche. Non è una "anomalia tecnica", ma il punto di arrivo di anni di deriva che nessuno ha voluto vedere. L'Ente più grande del Paese è paralizzato: niente Rendiconto Generale, fondi bloccati, decisioni strategiche rimandate. Eppure, fino a ieri, tutto andava bene. Ora improvvisamente tutti si dicono preoccupati. Circolano voci di commissariamento e puntualmente arrivano le indignazioni. "Attacco all'autonomia della ricerca", gridano. "Presidiamo gli spazi della ricerca pubblica", propongono con toni solenni. Belle parole, peccato che chi le pronuncia sia lo stesso che per anni ha accettato in silenzio la gestione opaca del CNR, la sua burocrazia elefantiaca e l’iniqua distribuzione delle (poche) risorse.
Dove erano questi paladini dell'autonomia quando si moltiplicavano le nomine fantasma? Dove erano quando la macchina burocratica divorava risorse e energie? Dove erano quando i sindacati trasformavano ogni tentativo di riforma in una battaglia di trincea ? Stavano zitti, discreti, zen. "Meglio non esporsi troppo", era il mantra. Ora invece si organizzano assemblee nell'Aula Convegni, incontri "nei luoghi della ricerca", qualcuno ha persino suggerito di usare la scalinata. Ma qui sta il problema: anche adesso che finalmente si muovono, lo fanno con la moderazione di sempre. "Diamo fastidio, ma non troppo". "Mobilitiamoci, ma restiamo composti". È una coreografia, non una protesta. Tutto molto interno, tutto molto autoreferenziale, tutto molto inefficace.
Nel 2004, i ricercatori francesi non si limitarono a riunirsi nelle loro aule. Quando la ricerca pubblica fu attaccata, nacque il movimento "Sauvons la Recherche": dimissioni collettive dalle funzioni, occupazione di laboratori, manifestazioni sotto i ministeri. Non chiesero permesso, non cercarono compromessi. Salvarono la ricerca francese perché la loro voce arrivò fin dentro l'Eliseo. Noi invece continuiamo a parlare solo a noi stessi. Proponiamo "momenti di confronto" e "assemblee interne", come se il problema fosse una questione di comunicazione interna. Ma di fronte all'attacco sistematico alla ricerca pubblica italiana, ci si può davvero limitare a questo?
Scegliere di non manifestare pubblicamente, di non andare davanti ai palazzi della politica, di non esporsi mediaticamente, significa accettare la marginalizzazione. Parlare di "presidiare gli spazi" può suonare poetico, ma è un alibi per non disturbare nessuno. Senza un'azione visibile e forte, nessuno al di fuori del CNR si accorgerà di quello che sta succedendo.
È il momento di smettere con le mezze misure. Servono immediate dimissioni collettive dalle funzioni di responsabilità. Direttori di Dipartimento e di Istituto, Consiglieri di Amministrazioni e Consiglieri Scientifici devono presentare le dimissioni per certificare l’immobilità a cui ha portato l’inazione del governo. Solo così questa crisi potrà fuori dai nostri corridoi.
Ogni giorno che passa senza una risposta politica è una scelta. E ogni giorno che passiamo in silenzio è una complicità. Il CNR rischia il commissariamento o, peggio, lo svuotamento definitivo del suo ruolo. Ma rischia soprattutto di diventare il simbolo di una comunità scientifica che ha accettato la propria irrilevanza.
La ricerca pubblica italiana ha bisogno di rappresentanza vera, di mobilitazione reale, di una protesta all'altezza della posta in gioco. Non di ringraziamenti rituali o di appelli alla pazienza. Se vogliamo davvero salvare il CNR, dobbiamo smettere di comportarci come se fossimo gli unici interessati al suo destino. Perché se continueremo a parlare solo a noi stessi, nessun altro ci ascolterà mai.
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