Audizione CISL in VII Commissione del Senato su disegno di legge 2285

Confederazione Italiana
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AUDIZIONE CISL SU DDL S. 2285 “Disposizioni in materia di attività di ricerca e di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca”

Ringraziamo l’Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi parlamentari della 7^ Commissione per l’audizione di oggi inerente l'esame del disegno di legge n. 2285 (Disposizioni in materia di attività di ricerca e di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca).

Il tema del reclutamento in generale, per tutte le categorie di lavoratori, e per quello che qui discutiamo per i ricercatori delle università e degli enti di ricerca sta molto a cuore alle organizzazioni sindacali e gli interventi legislativi, su questo tema, devono contemperarsi con le prerogative della contrattazione collettiva in materia ma soprattutto dovrebbero prevedere una seria e propedeutica interlocuzione con chi rappresenta questi lavoratori.

Dieci anni dopo l’approvazione della legge Gelmini, il Parlamento si appresta a intervenire su un tema sul quale da anni aspettiamo delle risposte: la moltiplicazione delle figure precarie disposta dalla legge Gelmini unita al taglio netto delle risorse trasferite ai comparti Università e Ricerca, ha infatti diminuito di oltre il 25% il personale di ruolo e più che raddoppiato il numero dei contratti a termine che rappresentano ormai oltre la metà del personale universitario della ricerca e della didattica.

Nel 90% dei casi questa fetta significativa di personale viene espulsa dal sistema e, fatto ancor più grave, ciò avviene dopo anni di precarietà passati a sostenere con impegno e dedizione le esigenze della didattica e della ricerca degli atenei e degli enti pubblici di ricerca. Il tutto, in un contesto di verticalizzazione nei processi decisionali e una polarizzazione nella distribuzione dei fondi che crea disparità sempre più marcate.

Il presente testo normativo avrebbe potuto rappresentare un’opportunità per disciplinare meglio, in un’ottica di modernizzazione e snellimento delle procedure, la materia dell’attività di ricerca in generale e più in particolare il complesso sistema ad oggi esistente di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca, tuttavia emergono, dalla lettura dei singoli articoli, alcune “criticità” che rischiano di produrre uno sbilanciamento compromettendo così l’efficacia dell’intervento normativo nella sua interezza.

L’impianto della proposta di legge si pone in modo preoccupante su una linea di continuità con l’impostazione della legge Gelmini invece di intervenire a combattere il precariato. L’istituzione del “nuovo” contratto da ricercatore Tenure Track allunga potenzialmente lo stato di precariato prima di una “eventuale” immissione in ruolo, senza inoltre prevedere misure che tutelino gli assegnisti e borsisti di ricerca che rappresentano rapporti di lavoro a forte rischio di dumping contrattuale, determinando una condizione complessiva che ci colloca fuori dai parametri europei nella ricerca.

Il PNRR stesso ha evidenziato quali criticità del nostro sistema Paese il basso livello di spesa in ricerca e sviluppo ma soprattutto il basso numero di ricercatori e la perdita di talenti. E esprime come urgenza quella di frenare questa perdita, consistente e duratura, di talento tecnico – scientifico, soprattutto dei giovani, ma non ci sembra che questo progetto di legge vada nella direzione di trattenere i migliori talenti e di garantire ai ricercatori del comparto università e ricerca prospettive durature di carriera.

Siamo di fronte all’ennesima “riforma a costo zero” in un contesto in cui le risorse a disposizione degli atenei e degli enti di ricerca per il reclutamento sono a tutt’oggi insufficienti. Inoltre i mancati investimenti in questi comparti, uniti a vincoli e barriere ipotizzati nella discussione in Commissione Cultura e presenti nella proposta, determineranno l’espulsione di decine di migliaia di precari/e.

Riguardo alla riforma degli assegni di ricerca si passa da una situazione nella quale l’ente erogatore poteva stabile che il possesso del dottorato fosse un requisito obbligatorio ai fini della partecipazione al bando di assegno di ricerca, ad una situazione nella quale possono partecipare al bando “esclusivamente studiosi in possesso di un titolo di dottorato di ricerca”. Nella norma ogni volta che si equipara il personale universitario a quello degli enti pubblici di ricerca c’è il richiamo esplicito al possesso dell’abilitazione scientifica nazionale (e quindi il riferimento ai settori scientifico disciplinari). Questa è una visione non solo miope del mondo della ricerca ma soprattutto non in linea con quanto contenuto nella Carta europea dei ricercatori e in tutti i documenti dell’ANVUR per la ricerca. Il sistema della valutazione della ricerca, infatti, chiarisce bene i confini tra mondo accademico (università) e mondo della ricerca (enti pubblici di ricerca). Non è mai stato necessario per un ricercatore di un ente pubblico di ricerca avere l’abilitazione scientifica nazionale, proprio perché il mondo della ricerca ha delle caratteristiche e delle carriere che anche normativamente hanno peculiarità proprie e distinte da quelle del mondo accademico.

Tale previsione, congiuntamente a quanto previsto all’articolo 7 in merito alla pubblicazione preventiva dei bandi di concorso sul portale istituzionale del MUR, costituiscono limitazioni importanti per gli EPR nel processo di autodeterminazione del reclutamento del personale.

Una ulteriore criticità riguarda la norma che stabilisce che “a partire dal terzo anno di titolarità del contratto e per ciascuno degli anni successivi, l’ente valuta il ricercatore o il tecnologo a tempo determinato ai fini dell’inquadramento a tempo indeterminato con la qualifica di primo ricercatore o primo tecnologo. Le procedure concorsuali di cui al presente comma sono adottate con le medesime modalità previste dalla legge per l’assunzione a tempo indeterminato” che non è chiara. Si
tratta di procedure concorsuali aperte a tutti? Se così fosse, non si capisce la novità; già oggi gli Enti pubblici di ricerca possono bandire concorsi pubblici di II livello a cui partecipano anche ricercatori a tempo determinato, in alternativa alle selezioni interne (vedi ex art. 15 per progressioni verticali). Qualsiasi altra interpretazione genererebbe un’evidente disuguaglianza nei confronti dei Ricercatori e Tecnologi a tempo indeterminato, viste le lungaggini nelle progressioni interne di carriera (la realtà del mondo della ricerca è purtroppo piena di esempi negativi di lunga permanenza nel medesimo profilo, che mortificano le carriere, e quindi i lavoratori e le lavoratrici, creando uno scollamento con quanto disciplinato dal CCNL).

Per i Tecnologi, peraltro, il contratto collettivo nazionale di lavoro richiede 8 anni nel medesimo profilo per poter conseguire il passaggio a II tecnologo, si ha quindi un’invasione normativa che si pone in conflitto con il CCNL vigente.

Le misure introdotte con l’articolo 6 commi 2 e 3 mirano a favorire la mobilità tra il personale dei due comparti, aspetto senz’altro positivo che tuttavia è necessario contemperare introducendo elementi che salvaguardino le peculiarità dei due distinti comparti Università ed Enti pubblici di ricerca.

Si propone, per rendere equilibrato tale “scambio” di professionalità, che il riferimento al possesso dell’abilitazione scientifica da parte dei ricercatori possa essere sostituto dall’esperienza maturata dagli stessi ricercatori nei singoli EPR e
inserire contestualmente l’obbligatorietà di uno scambio quantitativamente alla pari tra i sistemi di Università ed EPR, per evitare una mobilità a senso unico, penalizzando così il sistema di ricerca pubblica del Paese.

Per quanto attiene l’ambito specifico del settore Università la Cisl ritiene che sia necessaria un’inversione radicale di rotta. Un cambiamento che porti il nostro Paese in linea con gli altri grandi Paesi Europei, con un ingente ri-finanziamento del settore di almeno 2 miliardi di euro per programmare un reclutamento straordinario, in 4/5 anni, di almeno 30.000 posti di ruolo, attraverso una fase transitoria e un reclutamento ordinario, ciclico e progressivo, certo nei tempi, di almeno 5000 posti di ruolo a regime in grado di scardinare la guerra fra poveri che il Parlamento sta scatenando in una contrapposizione generazionale. Questi numeri in ingresso consentirebbero unicamente di ripristinare e mantenere un organico pari a quello del 2008, al di sotto della media europea del rapporto tra docenti stabili e popolazione, tra docenti stabili e numero di studenti.

E’ indispensabile una riforma del reclutamento che superi l’arcipelago delle forme parasubordinate, lesive della dignità dei lavoratori e delle lavoratrici della ricerca, con l’introduzione di una figura unica pre-ruolo, che abbia una durata contenuta e in numero proporzionale agli sbocchi in ruolo, con diritti e tutele universali sulla base dei principi sanciti dalla Carta Europea dei Ricercatori e che tenga anche conto che sia i bandi europei che quelli nazionali prevedono finanziamenti per ruoli a tempo determinato, eliminando tutte le altre forme contrattuali di sfruttamento del lavoro precario, borse ed assegni di ricerca. Va inoltre impedito l’uso indiscriminato delle docenze a contratto che produce ulteriore precariato.

Interventi strutturali che sono un'utile base per definire una visione di sistema complessivo, mandando in soffitta l’impianto tecnocratico del sistema di valutazione (ANVUR, ASN, VQR), perseguendo l’introduzione di un ruolo unico della docenza universitaria, per eliminare la competizione strutturale tra pari e che permetta a tutto il personale il pieno riconoscimento della propria attività senza intrecci e confusione tra i percorsi di reclutamento e i processi valutativi, a domanda, di progressione stipendiale.

Crediamo fortemente nella necessità di un radicale processo di riforma complessivo del sistema universitario e non siamo più disposti/e ad accettare che le decisioni sul futuro di chi attraversa le università ogni giorno vengano prese senza coinvolgere realmente ed ufficialmente la comunità accademica, se non con sporadici contatti informali come nella recente fase emendativa.