Nota su Patto per la ricerca

Roma, 28 ottobre 2019
A tutte le strutture

 

Care compagne e cari compagni,
il 23 ottobre u.s. è stato presentato a Roma il Patto per la Ricerca, che alleghiamo.
Come Cgil Cisl e Uil siamo stati chiamati a portare il nostro contributo, di cui vi indichiamo i concetti più importanti.

Patto per la ricerca e nuovo modello di sviluppo
Il Patto per la ricerca è un fatto importante, significativo e condivisibile negli obiettivi che si propone.
Lo è per gli impegni in esso contenuti, per l’approccio collaborativo in alternativa a quello competitivo, per la scommessa che esso determina a favore di uno sviluppo di qualità, in cui la qualità del lavoro e la piena occupazione siano fine comune, per la sfida verso un nuovo modello di sviluppo, socialmente ambientalmente ed economicamente sostenibile. Un nuovo modello di sviluppo che parte da un nuovo ruolo dello Stato e che presuppone anche una ripresa e un aumento degli investimenti privati e una maggiore responsabilità sociale del sistema delle imprese per affrontare tutti quegli elementi di debolezza, frammentazione dei cicli produttivi, cessione di produzioni di eccellenza, investimenti poco orientati
all’innovazione di prodotto, scarsa crescita dimensionale, che hanno determinato e determinano un aumento della dipendenza tecnologica del nostro Paese.

Patto per la Ricerca e investimenti pubblici
Abbiamo evidenziato come sia necessario rompere la logica della spesa a pioggia e incondizionata verso il sistema produttivo esistente, puntando invece a una crescita della produttività totale dei fattori, impostando una politica pluriennale di valorizzazione delle risorse del Paese.
Meno incentivi e più investimenti.

Abbiamo evidenziato come in questo nuovo modello sia decisivo e cruciale aumentare le risorse per le università e investire molto di più sulla ricerca di base, favorendo il trasferimento tecnologico e creando nuova tecnologia al fine di orientare la nostra specializzazione produttiva, strutturando sedi stabili territoriali di interazione tra soggetti pubblici e privati.

Nel settore della ricerca pubblica l'Italia investe meno della media europea.
Noi abbiamo un basso numero di ricercatori in rapporto alla popolazione, quindi è necessario non solo affrontare il tema del precariato in questo ambito ma anche pensare a nuovi investimenti.
Fare ricerca non può essere un lavoro poco garantito, poco pagato, poco riconosciuto.
C’è un tema che riguarda la necessità di liberare gli enti pubblici di ricerca e le università da vincoli assurdi riconoscendo la loro specialità nel quadro dei settori pubblici, e c’è un tema che si chiama necessità di incrementare le risorse per fare ricerca e per essere professionalmente valorizzati.

Abbiamo condiviso l’inclusione nella proposta programmatica presentata dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, colpevolmente ignorata dalle politiche dell’innovazione e della ricerca dei governi precedenti.

Patto della Ricerca e problematiche di sistema
Abbiamo poi evidenziato alcune problematiche di sistema a cui il patto deve rispondere, dal nostro punto di vista.
La prima riguarda il fatto che il sistema della ricerca italiano, assai articolato e frammentato nei soggetti che vi operano e nelle fonti di finanziamento, risente di una scarsa attitudine all'applicazione dei risultati e alla collaborazione con le imprese, che a loro volta investono poco e incontrano difficoltà a collegare la propria attività di ricerca con gli input provenienti dai centri di ricerca pubblica.
Questo è un primo fattore su cui intervenire.

La seconda problematica riguarda il fatto che l’Italia ha reagito, per grossa parte, al mutamento delle condizioni strutturali dei mercati internazionali, restando ancorata al suo tradizionale modello produttivo.
Con la fine dell’opportunità di giocare sulla leva delle svalutazioni competitive, già all’inizio degli anni novanta sarebbe stato necessario orientare le nostre produzioni sempre più su beni di fascia media o medio-alta, beni ad alto valore aggiunto di conoscenza, investendo nell’innovazione e utilizzando quelle che sono state definite correttamente manovre di flessibilità ricca.
Mentre i nostri partner e competitori diretti si spostavano su produzioni ad alta tecnologia, accumulando quote di mercato, noi perdevamo (e perdiamo) terreno.
Il diverso valore aggiunto di quei beni, determinato dalla quota di sapere e innovazione in essi incorporata, ovviamente ha un effetto a cascata: sui salari, sulle mansioni richieste, sulla capacità non solo di produrre ricchezza, ma anche di assicurare qualità nel lavoro e nella vita. Quel tipo di produzione comporta una maggiore produttività e remunera di più il lavoro.
Al contrario, il sistema produttivo italiano ha preferito in troppi casi la via dell'aggiornamento tecnologico a quella dell'innovazione concentrando i pochi investimenti nell'acquisto piuttosto che nella produzione di tecnologia e causando un disavanzo commerciale su un settore strategico.

Il terzo punto di analisi riguarda la mancanza di una chiara strategia che stabilisca gli obiettivi da raggiungere, disegni missioni e modelli organizzativi delle strutture di ricerca coerenti con gli obiettivi individuati e definisca le risorse necessarie al loro raggiungimento. In assenza di questa strategia il mondo produttivo si è autodeterminato sul piano della ricerca non solo in termini economici ma anche in termini di strategia. L'intervento dello Stato nella ricerca trova allora una giustificazione economica nel suo carattere di bene pubblico. E per la morfologia delle nostre imprese, quindi, il ruolo dello Stato è ancora più importante perché deve indirizzare la spesa pubblica a sostegno sia della ricerca di base che di quella applicata, unica strada in assenza di sufficienti investimenti privati.

Patto per la Ricerca e ruolo del sindacato confederale
Negli ultimi anni il sindacato confederale ha conosciuto e contrastato gli effetti di una competizione di costo piuttosto che su base tecnologica, consapevole degli effetti deleteri che questo provoca sulla qualità del lavoro, sui bassi salari e di conseguenza sul sistema di relazioni industriali.
Rilanciare quindi gli investimenti in ricerca come volano di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, farlo in un progetto che chiede una forte interazione e integrazione dei soggetti ci pare meriti l’impegno di tutti.

Il Segr. Gen. FLC
Francesco Sinopoli
p. la Segreteria
Tania Scacchetti