Il Disegno di legge n. 1192, attualmente in discussione al Senato, si presenterebbe come un'iniziativa di semplificazione normativa. Ma sotto l'etichetta rassicurante della "semplificazione" si nasconde, in realtà, una delega straordinariamente ampia ai poteri pubblici, che potrà riscrivere interamente la normativa in materia di formazione superiore e ricerca. L'articolo 20, in particolare, concede pieni poteri all'esecutivo per intervenire sulla governance delle università, sul reclutamento, sulla valutazione, sulla mobilità, sul diritto allo studio e - soprattutto - sullo stato giuridico ed economico del personale del comparto.
E proprio su quest'ultimo punto si apre uno dei fronti più delicati e controversi. Nonostante l'articolo menzioni che le nuove norme dovranno rispettare le materie regolate dal contratto collettivo nazionale (CCNL), i margini di ambiguità restano troppo ampi. Il rischio concreto è che il Governo utilizzi la delega per riscrivere l'ordinamento professionale del personale universitario e della ricerca pubblica, di fatto sottraendolo alla contrattazione collettiva con l'ARAN, approfittando anche dei perduranti ritardi ed ostacoli del confronto ai tavoli dell'Aran.
RICERCA: UN CONTRATTO SENZA ORDINAMENTO
A rendere, infatti, la situazione ancora più preoccupante è il fatto che, per il settore Ricerca, il recente CCNL 2019-2021 sottoscritto in via definitiva a luglio 2024 - non ha riformato l'ordinamento professionale. Una scelta che ha rinviato a un successivo confronto il riassetto delle figure e dei percorsi di carriera negli Enti Pubblici di Ricerca. Questo rinvio, oggi, si trasforma in una falla normativa: in assenza di una disciplina contrattuale aggiornata, il Governo potrebbe intervenire d'autorità proprio su quel vuoto lasciato aperto, stabilendo per decreto - e quindi unilateralmente - un nuovo ordinamento professionale per il comparto.
Una prospettiva che farebbe saltare uno dei principi cardine del sistema pubblico: la regolazione condivisa delle condizioni di lavoro, basata sul giusto equilibrio tra contrattazione e "legislazione di sostegno" come da sempre sostenuto dalla UIL-RUA fin dai primordi del confronto pubblico sulla governance e sull' autonomia dei nostri settori (Leggi Ruberti e Berlinguer). Se l'ordinamento - che definisce ruoli, progressioni, qualifiche, responsabilità e modalità di accesso venisse scritto da Palazzo Chigi, la contrattazione con le organizzazioni sindacali rischierebbe di ridursi a un atto puramente di "ratifica notarile".
LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA SOTTO SCACCO
Il pericolo è sistemico. La contrattazione collettiva nazionale, affidata all'ARAN, è stata negli ultimi anni il principale strumento di dialogo tra amministrazione pubblica e lavoratori, ed è attraverso il CCNL che si sono affrontati temi cruciali come la valorizzazione delle carriere, la flessibilità organizzativa, i carichi di lavoro, l'inquadramento delle attività di ricerca e l'autonomia professionale. Un intervento normativo diretto del Governo su questi stessi aspetti rischia di spazzare via anni di progressi e di sottrarre agli attori sociali la possibilità di costruire una disciplina realmente aderente alla realtà operativa degli enti di ricerca e degli atenei.
Tutto ciò avviene in un clima paradossale. Da un lato si celebra la sottoscrizione di contratti nazionali attesi da anni; dall'altro, si apre la porta a un processo di "riordino" che rischia di vanificare quanto faticosamente raggiunto. Il messaggio che ne esce è chiaro: nonostante la contrattazione, l'ultima parola spetta sempre e comunque al Governo. Quando, al contrario, a quest'ultimo ed al Parlamento in rispetto dell'autonomia dei settori e delle prerogative della contrattazione spetterebbe, ed anzi sarebbe auspicabile, solo una sollecitazione indicativa alle parti sociali.
UNA RIFORMA A TRAZIONE GOVERNATIVA
Il problema non è solo giuridico, ma democratico, in particolare di rispetto del dettato costituzionale. Si delinea una riforma a trazione esclusivamente governativa, che potrebbe riscrivere le regole del gioco bypassando il confronto con le stesse comunità scientifiche, accademiche e sindacali. La previsione che, in caso di mancato accordo in Conferenza Unificata, il Governo possa comunque procedere con deliberazione motivata, rafforza l'impressione di un impianto disegnato per comprimere ogni resistenza istituzionale.
Quello che serve, invece, è un percorso realmente partecipato e condiviso, che affronti i nodi strutturali del sistema universitario e della ricerca - dal precariato cronico alla scarsa attrattività internazionale e dalla frammentazione normativa alla debolezza degli investimenti ed alla mancata definizione di un rapporto positivo e costruttivo per lo sviluppo economico e sociale del Paese tra settore pubblico e quello privato - senza scaricare il peso della riforma solo sui lavoratori del settore.
Per ora, la strada scelta è un'altra: concentrare potere normativo nelle mani dell'esecutivo, nel silenzio assordante del Parlamento e delle forze politiche, impegnate solo nello scontro frontale e nella ricerca di consenso.
Come UIL-Scuola RUA - in linea con la nostra lunga tradizione di impegno per la massima valorizzazione normativa e negoziale dei settori della Ricerca e dell'Alta Formazione, in coerenza con le indicazioni, le direttive e le realizzazioni europee, nella salvaguardia del dettato costituzionale che tutela l'autonomia della scienza e ne sostiene la funzione promotrice di sviluppo economico e sociale, con il concorso e l'apporto dei lavoratori e della Comunità Scientifica - svilupperemo da subito le iniziative necessarie alla sensibilizzazione delle forze politiche, del Parlamento e del Governo su una tematica che deve ritornare ad essere centrale e prioritaria nella vita del Paese.
Il Commissario Straordinario
UIL RUA
Emanuele Ronzoni